Un contesto in cui realizzare…

L’insegnamento del canto non è una trasmissione di dati, spiegare il funzionamento della voce a qualcuno sarà informarlo di qualcosa, senza che avvenga nessuna trasformazione, nessuna reale acquisizione di una competenza, rischiando inoltre di complicare la relazione funzionale tra mente e corpo.

Ogni informazione in merito ad un’attivazione del corpo che non trovi immediato riscontro nella pratica renderà quel gesto più complesso da riconoscere e da richiamare.

L’insegnamento del canto non è una trasmissione di sensazioni, suggerire ad un allievo dove e cosa sentire durante un vocalizzo o una canzone altererà la sua percezione, portandolo a non riconoscere il legame reale tra la qualità di suono cercata e la sua relativa e personale sanzione acustica e vibratoria, ma condizionandolo a ricercare quella sensazione suggerita per poi associarla al suono desiderato in modo forzato o a quello più simile stante le condizioni fisiche ricreate.

Ogni tentativo di eliminare un condizionamento inserendone un’altro magari più funzionale è in ogni caso una gabbia, un’allontanamento da se stessi e dalla propria natura artistica.

L’insegnamento del canto, come ogni insegnamento, è creare le condizioni affinché l’allievo si renda conto di ciò che è, uno spazio di osservazione e riscoperta in cui la propriocezione reale scevra da condizionamenti, la comprensione mentale di ciò che si propriocepisce al fine di non crearne di nuovi e la non aspettativa, generino una naturale riscoperta della relazione di causa effetto tra ciò che desidero e la “mia strada” per ottenerlo, compatibilmente a ciò che posso nei limiti del mio sentire artistico e del mio corpo.

Ogni esperienza genera mille informazioni, se la vivo cercando una cosa in particolare troverò solo quella, scoprendola o generandola io stesso, se sviluppo la mia capacità di accorgermi entrerò in una realtà vasta e infinitamente ricca.

Simone Moscato

“Il maestro di canto”, seminario di un giorno

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A conclusione di questo anno accademico, e in attesa del prossimo, che ne dite di parlare un po’ di didattica?
Si parlerà del senso della didattica, di quali siano le qualità del docente e di come insegnare affinché l’azione educativa sia un’esperienza trasformatrice e non un passaggio di informazioni, ed in fine ci si confronterà su alcune esperienze personali analizzandole insieme.
Pronti?

Simone Moscato

PRATICANTE, INSEGNANTE, MAESTRO

Un praticante di una disciplina, magari all’inizio del proprio percorso, comunicherà la tecnica che studia arricchendola del proprio punto di vista, sarà al centro dell’esperienza e racconterà se stesso attraverso la disciplina che tenterà di condividere.

Imparate da un praticante come voi, consapevoli di dover estrapolare da una condizione personale un senso che possa ispirarvi a trovare la vostra strada.

Un insegnante che avrà maturato la propria esperienza personale e compreso l’importanza della separazione tra il fine e lo strumento che utilizziamo per raggiungerlo, tenterà di comunicare la tecnica portandola al di fuori della propria vicenda, presenterà la pratica al di là di ciò che lo riguarda, permeando comunque di se quanto dice, magari inconsapevolmente, oppure evidenziando le parti riguardanti se stesso come un possibile esempio di quanto la pratica sia efficace.

Imparate da un insegnante, pulendo dal suo insegnamento quanto possa condizionarvi verso qualcosa che non vi riguardi, estrapolando la tecnica da un contesto che sia altro da ciò che siete nel momento dell’esperienza.

Un maestro scompare dietro la tecnica, è portatore dell’insegnamento per il fine che veicola ed è in grado di pulire ogni indicazione da se stesso, massimizzando l’efficacia pedagogica e incentrando totalmente l’azione educativa sull’allievo a cui la comunica. Un maestro non condiziona mai attraverso il suo punto di vista ma libera, lasciando all’altro le ragioni, i mezzi, e il fine del percorso che intraprende. Un maestro ha una chiarezza sul percorso del proprio discente che supera quella del discente stesso, offrendogli domande e mezzi per la crescita senza mai comunicargli nulla che debba scoprire e realizzare da solo, col proprio tempo e a proprio modo.

Lasciatevi  guidare per il tempo necessario da un maestro, consapevoli che non è fondamentale incontrarne uno per crescere, che la maggior parte dei maestri che incontrerete saranno in realtà insegnanti con grande carisma e meno consapevolezza di quanto credono, che la loro venuta, per il tempo opportuno, sarà tanto rara quanto preziosa, e che solo se saremo pronti potremo riconoscerne uno, perché saremo in grado di creare con lui un rapporto incentrato sulla libertà di essere chi siamo e di ricercare ciò che davvero è per noi. Come di disse Jiddu Krishnamurti “The truth is a pathless land”…

Simone Moscato (insegnante di canto e musica)

Se non puoi aiutare a fare chiarezza almeno non aumentare la confusione.


Compito di un insegnante è quello di creare le condizioni affinché l’allievo si renda conto delle ragioni, delle relazioni e degli effetti con cui ha a che fare attraverso la pratica che studia, come ad esempio la musica e il canto. Per cui collega insegnante (mi rivolgo a te come a me stesso) al fine di favorire un cantante, riportando la tecnica alla sua necessaria semplicità e consentendogli quindi di dedicarsi al motivo dell’arte, se non possiamo aiutarlo a fare chiarezza almeno non aumentiamogli la confusione.

Simone Moscato

Guida, insegnante, Maestro, guru…


La figura del docente di tecnica vocale è al di là della materia che insegna quella di una guida, al pari dei colleghi che si occupano di materie scolastiche, universitarie, sportive, umanistiche e addirittura spirituali. Chiunque insegni può essere veicolo di un’esperienza trasformatrice, può fornire uno spunto, una comprensione, o nella migliore delle ipotesi creare una condizione all’interno della quale sia l’allievo a scoprire cose nuove e da apprendere. Un buon insegnante è colui che riesce a mettersi da parte, ad interagire con la richiesta più o meno esplicita di imparare che gli viene rivolta, è colui che alla fine di un percorso risulta essere la parte meno significativa dell’esperienza formatrice. Ciò non esclude il rapporto umano, la gratitudine e l’ammirazione che si possono ricevere insegnando, nè elimina ogni traccia del sentire dell’insegnate dall’esperienza che propone, ma è di estrema importanza che nell’allievo la libertà della scelta non venga mai limitata o condizionata, volontariamente o involontariamente dal gusto, dal pensiero, dai punti di forza o dai limiti del docente. Il Maestro, termine abusato in un’aula di canto come in quasi qualsiasi altro luogo è invece colui che in virtù di una visione profonda e chiara della realtà, e di una cristallina pulizia interiore, è in grado di capire cosa sia meglio per l’allievo, consigliandolo con un’attegiamento di totale amorevolezza e gratuità. Stante quindi l’estrema difficoltà di trovare veri maestri in qualsiasi disciplina, esorto tutti gli allievi di canto a “risvegliarsi” dal torpore della delega, e a rivendicare il proprio percorso, il proprio sentire, il diritto a sbagliare, quello ad imparare e quello fondamentale di essere sè stessi. Confrontarsi, comprendere e vedere le proprie paure, ricercare, accettare, scegliere in virtù di una chiarezza o di una paura, essere comunque ciò che si è innescando attraverso un’autentica realizzazione (propria di una pratica realmente trasformatrice) un cambiamento che non può mai essere generato da una volontà altrui presa in prestito. Modificare la scocca esterna lasciando un’interiorità sopita non potrà mai portare ad altro che all’inaridimento o alla stasi, magari dolce, di un’epifania simulata. Non abbiate paura di sbagliare, siate pienamente realizzati, siate imperfetti, siate felici, siate artisti, scegliete i vostri insegnanti, e siate capaci se mai li incontrerete, di riconoscere i Maestri.

Simone Moscato

Comunicare davvero


Errore diffuso durante un training di preparazione all’insegnamento è quello di non lavorare sulla qualità della comunicazione. Una comunicazione  è efficace quando due interlocutori non si limitano a parlare la stessa lingua, ma quando riferendosi a qualcosa la intendono alla stessa maniera. Ciò non consegue che è necessario pensarla alla stessa maniera, la questione non è essere simili o avere chissà quale intesa, la questione tanto banale quanto comune è di non dare per scontato che se si parla di una cosa, magari dandogli un nome, sia scontato per entrambi che la cosa in oggetto sia la stessa, o che il contesto in cui noi la pensiamo la renda funzionale allo stesso modo per tutti. Come risolvere il problema? Con desiderio di comunicare, pazienza, chiarezza nelle intenzioni e costruzione per il tempo necessario di un linguaggio a tutto tondo che sia davvero condiviso… Altrimenti continueremmo a parlare all’infinito a noi stessi…

Simone Moscato 

Cosa posso fare per te

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Vuoi che ti insegni a cantare? Non posso farlo, sarebbe un’illusione. Cosa posso fare per te?

Posso rivelarti il segreto di ogni tua grande intuizione, posso dirti che nessun’altro ne è l’artefice oltre te stesso e che ogni esperienza fuori da te non può fare altro che definire qualcosa che tu hai già lasciato accadere.

Posso ridarti il ricordo del tuo primo canto, quello senza condizioni, quello ricco di promesse, quello che non ha mai chiesto nulla in cambio.

Posso aiutarti a risvegliare il tuo orecchio più sincero, quello  che tante volte ti ha acceso, per scovare la tua musica e per lasciarti ascoltare la tua vera voce tra le pieghe gentili di ogni tuo movente.

Posso farmi strumento del tuo risveglio per come tu mi vorrai, perche tu lo sarai del mio e perché non esiste segreto alla consapevolezza condivisa.

Ed in fine posso dirti la verità, e la verità è che non hai davvero bisogno di me, per questo mi hai cercato senza rendertene nemmeno conto, affinché io te ne convinca ricordandoti che sei libero di imparare davvero.

Simone Moscato

Come scegliere le esperienze formative: Essere artisti o vittime dell’approssimazione

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Non tutto quello che è vero e che funziona è altrettanto utile alla nostra ricerca.
Possiamo fare mille corsi, mille seminari, illudendoci che la bontà di quell’esperienza ci garantisca un progresso, come dire “se è una buona esperienza male non farà”…
Mi permetto di dissentire.
La qualità della nostra intuizione artistica è proporzionale alla capacità che abbiamo di ascoltarci, di cogliere la realtà che ci circonda e di assecondare quell’esigenza di relazione, senza troppa zavorra sulle spalle, senza troppi filtri inutili che ci impediscano di “vedere” con chiarezza.
Immaginate un viaggiatore che ogni qualvolta incontri un oggetto bello ed efficace per il lavoro che svolge, lo metta nel dubbio nel suo zaino (funziona, magari mi sarà utile). Ora immaginate lo stesso viaggiatore dopo poco tempo appesantito, con uno zaino enorme dove sia impossibile trovare gli oggetti di cui abbisogna davvero al momento giusto, e dove ad un certo punto non ci sia più spazio per acquisire gli strumenti non ancora trovati davvero indispensabili al suo cammino… Dovrà svuotare tutto senza riuscirci davvero, o arrendersi, o arrangiarsi con quello che ha senza mai cogliere realmente la pienezza che lo motivava all’inizio del suo percorso.
Non consiglio di non fare esperienza, anzi!!! Consiglio di farle con cognizione di causa, prima di esaurire le energie e la capacità di imparare..
Come capire cosa può davvero fare al caso nostro? 4 piccole regole:
Capire chi siamo artisticamente, sapere cosa cerchiamo nel momento in cui ci mettiamo a ricercare, non essere rigidi ma assecondare gli inevitabili sviluppi del nostro sentire ed in fine essere coraggiosi, non tradire il senso di quello che facciamo.
Come acquisire questa consapevolezza?
Questo è il vero e più importante viaggio di ricerca.
Buon cammino.

Simone Moscato

Seminario di consapevolezza vocale

Di cosa c’è davvero bisogno oggi nel mondo della didattica del canto?
Un nuovo “metodo”? Un nuovo vocabolario? una nuova scoperta scientifica? La riscoperta di qualche dottrina classica di fino 800?
La questione non è se un approccio tecnico sia affine o no all’idea di tecnica vocale che mi sono fatto, e nemmeno se funzioni davvero…
La questione è se quello che sto facendo sia realmente la soluzione più semplice per ottenere ciò che voglio nel minor tempo possibile.
La questione è se sto facendo qualcosa di davvero attinente al mio desiderio di musica.
La questione è se sto ignorando qualcosa che già so fare per impararlo nuovamente in modo più articolato e complesso.
La questione è capire se la fascinazione della ricerca non stia soddisfacendo solo la mia mente, vorace calcolatore in cerca di sfide da risolvere, trascurando il vero motivo che mi spingeva a ricercare nel canto quel senso di pienezza fuori da ogni schema precostituito…
Il mondo delle idee può diventare una trappola affascinante, la musica e il desiderio di musica non sono proiezioni, ma una realtà esperibile nel presente, riscopriamola e lasciamo che ci comunichi con la massima semplicità quale sia il percorso da seguire.
Simone Moscato

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“Siate affamati, siate folli”

Cari amici la vita ci offre grandi strumenti di crescita, tutto può essere uno strumento di crescita.
Studiare, imparare, cambiare, crescere, non ha a che fare con lo strumento che utilizziamo ma con il desiderio che abbiamo di farlo, che si incarna in ogni scelta consapevole di divenire sempre qualcosa di nuovo.
La musica è la risposta dell’animo al desiderio di essere e di cambiare, e come tale va rispettata ed amata, va alimentata, e l’unico modo per alimentare un monito vitale è attraverso altra vita.
Non vivete nell’immaginazione del pensiero, incarnate la vita in ogni esperienza, perché in ogni esperienza c’è un’energia vitale.
Siate capaci di elaborare il vostro percorso formativo fidandovi del desiderio, del sentire, della visione che nasce dall’intuizione più autentica di ciò che siete realmente.
Intuire è vivere il momento presente, è percepire, è sentire la connessione tra sé e il mondo, è ascoltarsi con una verità che non è nemmeno traducibile in parole, ma che è tanto forte da rivoluzionare la vita intera.
Celebrate la vita con la ricerca dell’affermazione del desiderio più puro di essere al di là di ogni condizionamento.
Celebrate lo studio rispondendo alle domande della vostra pancia più che a quelle di una mente troppo spesso condizionata.
Celebrate la musica suonandola molto di più di quanto la possiate studiare con esercizi propedeutici.
Celebrate il canto scoprendo la vostra voce, confidando nella vostra voce, che sia coraggiosa e fuori da ogni schema.
Celebrate voi stessi, rispettando il senso stesso della vita, cambiare, imparare, vivere a pieno con gioia e gratitudine.
Come disse Steve Jobs, “siate affamati, siate folli”.
Buon inizio di anno accademico a tutti.
Simone Moscato

(Allego uno splendido discorso che fece Steve Jobs nel 2005, di grande interesse per chiunque si stia formando per sviluppare la propria creatività)

La nostra facoltà di intuire Dio

Yogananda-New-York[1]

La ragione per cui Dio rimane sconosciuto a milioni di persone che lo adorano in templi e chiese, nelle città sante e in altri luoghi di pellegrinaggio, sta nel fatto che gli strumenti fisici della conoscenza possono comprendere solo i prodotti del Creatore ; La Divinità stessa è percepita dalla facoltà di intuizione che è oltre la mente e che rappresenta il potere dato da Dio all’anima di conoscere la verità.
Quando l’irrequietezza mentale è placata e la coscienza è indirizzata verso l’interno, in contatto con l’anima , la nostra facoltà di intuire Dio è risvegliata”.
Paramahansa Yogananda

“Un nuovo mondo” Eckhart Tolle

L’epoca moderna ci invita sempre di più all’esperienza, ad avere fede non più solo nella sola speranza o in un concetto elaborato per quanto affascinante e convincente, ma a credere in una percezione viva e profonda della realtà.
Eckhart Tolle nella massima semplicità, senza affiliazioni o schemi nascosti apre la coscienza verso una pratica del vivere consapevole, senza proporre obbiettivi se non la riscoperta di ciò che ognuno è e di ciò a cui ognuno è davvero destinato.
L’arte in fondo non è espressione, definizione e creazione di ciò che siamo?
Possiamo fare arte e ridefinire noi stessi e il mondo fino alla verità con la musica, col canto, con la danza, con la pittura, con la poesia, con il teatro e quant’altro il nostro animo ci richieda per esprimersi?
Possiamo fare della nostra vita l’opera d’arte più grande?
Buona lettura cari amici!
Simone Moscato

Un-Nuovo-Mondo

La cultura è una rivoluzione che inizia dal basso! Liberi sulla Carta 2014 lancia una campagna di crowdfunding!

Il Festival Letterario “Liberi sulla Carta” lancia una grande campagna di crowdfunding attraverso la piattaforma web http://www.produzionidalbasso.com.
La kermesse letteraria che, dal 2009, lavora per garantire uno spazio libero all’editoria indipendente e al tempo stesso aumentare la fruibilità dell’offerta culturale verso un pubblico sempre più vasto, ha attivato un’operazione di “finanziamento dal basso” per salvaguardare la crescita e la sopravvivenza della manifestazione stessa.
Da anni, infatti, Liberi sulla Carta riesce a concentrare nel borgo di Farfa, a poco più di mezz’ora da Roma, scrittori, editori, giornalisti e lettori per in uno spazio libero, aperto al confronto e totalmente gratuito.
“La nostra è stata una scelta obbligata – spiega il Direttore Artistico Fabrizio Moscato – da anni incontriamo il favore di un pubblico sempre più vasto e incassiamo complimenti e offerte di disponibilità a realizzare l’edizione successiva di Liberi sulla Carta. Dopo cinque anni d’altronde è ormai impossibile gestire una manifestazione cresciuta esponenzialmente con le limitate risorse dei volontari che le hanno dato vita nel 2009.
La volontà di assecondare ancora questa crescita è frenata dall’apporto finora largamente insufficiente, sebbene apprezzato, delle Istituzioni. Lo stesso Comune che ospita la manifestazione, tra il 2011 e il 2013 ha contribuito alla realizzazione della stessa con un finanziamento medio di mille euro annui, poco più di un contributo simbolico per una kermesse che fa registrare i nostri costi e che ha portato a Fara in Sabina nomi come Antonio Pennacchi, Simone Cristicchi, Ascanio Celestini, Marco Pannella, Peppe Servillo, Paolo Briguglia, Fabio Troiano e Johnny Palomba, per limitarci agli appuntamenti più seguiti ”.
La difficoltà di reperire risorse contrasta, infatti, con la caratteristica principale di “Liberi sulla Carta”: l’assoluta gratuità di tutti gli appuntamenti e l’accessibilità a prezzi contenutissimi di tutti i servizi ad essa connessi, a partire dagli stand a disposizione degli editori, che grazie a questa scelta non vengono selezionati in base alle loro capacità di spesa.
“Adesso stiamo fornendo uno strumento a chi vuole davvero, concretamente, difendere questo spazio: abbiamo 120 giorni per raccogliere diecimila euro. Si tratta di un’impresa difficilissima ma che rappresenta l’ennesima sfida per Liberi sulla Carta. Mi auguro finisca come le precedenti: con un completo successo!”
Fabrizio Moscato

“E’ difficile restare arrabbiati quando c’è tanta bellezza nel mondo…”

Il mondo si rivela costantemente in tante piccole cose, quelle che catturano la nostra attenzione per farcene rendere conto poco dopo come ridestati da un piccolo sogno, quelle che rapiscono la nostra mente dal rimugginare infinito per riportarci alla bellezza del presente.. Un albero che si muove al vento, un vecchio signore adagiato su una panchina che legge un giornale, risate in un parco,  luci colorate in una notte d’inverno, l’odore dell’erba al mattino presto mentre si aspetta l’arrivo dell’autobus, la sensazione di sentirsi a casa, la bellezza, in ogni sua forma, nascosta in tutto eppure sempre a nostra disposizione.
“E’ difficile restare arrabbiati quando c’è tanta bellezza nel mondo…”
(American Beauty, 1999)

Simone Moscato

Pasqua di rinascita

In occasione della Pasqua, per chi crede in Dio, in Gesù, nella natura illuminata della mente, per chi non crede in nulla in particolare, per chi ha la sensazione che la realtà sia ben più ricca e sfaccettata di quello che riesce a cogliere e per chi è convinto di non dover porre attenzione su null’altro a parte ciò che riesce e comprendere, per tutti pubblico questa versione del “Padre nostro”. E’ una traduzione dal sanscrito di cui non conosco in modo certo la provenienza nè la veridicità, ma della quale non posso non riconoscere la profondità e la bellezza, scoperta non in una chiesa o in qualsivoglia luogo di culto, ma una mattina di Aprile nella sala d’aspetto della mia dentista tra un disegno lasciato da un bimbo e un’avviso sui pericoli della gengivite… 😉
Buona Pasqua di rinascita.
Simone Moscato


Padre nostro

O tu dal quale viene il Soffio Vitale
che riempi tutti i regni di suoni, luce e vibrazioni,
possa la tua luce essere sperimentata nella più alta consapevolezza.
Venga il il tuo regno di unità adesso,
allora la tua volontà agirà con la nostra
come nella luce dell’universo, così in tutte le forme terrene.
Donaci ogni giorno pane, aiuto e comprensione.
Sciogli le corde degli errori che ci legano,
nella misura in cui noi lasceremo le corde altrui.
Non lasciarci perdere nelle cose superficiali,
ma liberaci da ciò che impedisce la nostra realizzazione.
Da Te viene la volontà che tutto compie.
Da te viene la forza vigorosa di agire.
Da te viene il canto che tutto abbellisce, e chi si rinnova di era in era.
IMIN (Io confermo questo in fede e verità con tutto il mio essere)

Oh me, oh vita!

Oh me, oh vita!
Domande come queste mi perseguitano,
infiniti cortei d’infedeli,
città gremite di stolti,
che vi è di nuovo in tutto questo,
oh me, oh vita!
Risposta
Che tu sei qui,
che la vita esiste e l’identità,
Che il potente spettacolo continui,
e che tu puoi contribuire con un verso.

Walt Whitman (“ Foglie d’erba“ 1855)

Non soltanto la superficie delle cose

Ho vagato per molti anni, tanto a lungo da dimenticare che possiedo un’anima. Io appartenevo alle persone e alle cose. Non appartenevo a me stesso. Quando il deserto comincia a fiorire, fa spuntare strani vegetali. Ti riterrai folle, e in un certo senso lo sarai anche. Non v’è dubbio che, se entri nel mondo dell’anima, sei simile a un folle, e che un medico ti riterrebbe malato. Se non sapete che cos’è la follia divina, rinunciate a giudicare e attendete i frutti. Sappiate però che esiste una follia divina che altro non è che il superamento dello spirito di questo tempo attraverso lo spirito del profondo. Parlate di insano vaneggiamento quando lo spirito del profondo non può più ritirarsi e costringe l’uomo a parlare in lingue incomprensibili anzichè in linguaggio umano. Parlate però anche di insano vaneggiamento quando lo spirito di questo tempo non lascia andare l’uomo e lo costringe a vedere sempre soltanto la superficie delle cose, a negare lo spirito del profondo e a ritenersi egli stesso lo spirito del suo tempo. Lo spirito di questo tempo non è divino, lo spirito del profondo non è divino; divino è l’equilibrio fra i due.
Carl Gustav Jung
(Grazie a Harshal Gilda Andria che ha postato per prima questo magnifico estratto)

“La vocazione più alta della musica” (Omraam Mikhaël Aïvanhov)

Molto spesso nel parlare di canto, di musica, di arte in genere, si fa largo uso di termini altisonanti, di frasi ad effetto, ispirate probabilmente da sentimenti autentici, ma comunque ingenue nella loro vaghezza e mancanza di un reale contenuto.
“Spirito”, “anima”, “vita”, tutto diventa assoluto e allo stesso tempo impersonale, termini che nella maggior parte dei casi sono suggeriti più da un desiderio di misticismo, che non da una reale esperienza di quello che davvero significa.
Ed allora cosciente di quanto possa sembrare sgradevole quello che dico, ma fiducioso che se ne possano intravedere le buone intenzioni, condivido con voi le parole di un grande mistico che dell’esperienza trascendente non ha fatto un vessilo da esibire, ma una ragione di vita, invitando tutti, me per primo, a parlare di ciò che con semplicità comprendiamo davvero, a raccontarsi davvero, per contribuire in modo autentico alla crescita degli allievi e dei colleghi che ci leggono e che ci ascoltano.

“La musica è un respiro dell’anima e della coscienza. E’ tramite la musica che l’anima si manifesta sulla terra. Quando la coscienza superiore si risveglierà nell’uomo, quando si svilupperanno in lui delle capacità di percezione più sottili, comincerà a percepire quella sinfonia grandiosa che echeggia attraverso gli spazi, da un capo all’altro dell’universo, e comprenderà allora il senso profondo della vita.
La musica risveglia nella nostra anima il ricordo della nostra patria celeste, la nostalgia del paradiso perduto. E’ uno dei mezzi più potenti, ancora più potente della pittura o della danza, perché è immediato, istantaneo.. Immediatamente si risveglia il ricordo che veniamo dal Cielo e che al Cielo dovremo tornare. Certamente ci sono musiche che risvegliano il desiderio di soggiornare il più a lungo possibile sulla terra, ma non è questo il vero obiettivo della musica.
La musica è ascoltata da tutti ma in una Scuola iniziatica, si impara ad ascoltarla per destare in sé dei centri spirituali, per proiettarsi nello spazio, per elevarsi, per nobilitarsi, per purificarsi e anche per trovare la soluzione alle proprie difficoltà.”
Omraam Mikhaël Aïvanhov

Nella quiete e nel silenzio

Se l’uomo vuole dedicarsi a un lavoro interiore, deve concentrare tutti i suoi poteri in se stesso, in un angolo della sua anima,e liberarsi da ogni immagine e forma esteriore.Deve arrivare all’oblio e alla non conoscenza. Deve rimanere nella quiete e nel silenzio là dove può essere intesa la Parola ineffabile, poiché quando un essere non ha più conoscenza di nulla, l’anima si manifesta e si rivela.
Meister Eckhart (1260-1327)

Prima Meditazione – Fluidifichiamo la nostra mente (www.darsipace.it)

Il lavoro trasformativo autentico implica, ogni volta che lo si intraprende (e quindi ogni giorno o più volte al giorno), una fase preparatoria, e cioè una preventiva fluidificazione della sostanza della nostra anima, che è invece ordinariamente contratta e indurita, in quanto solo ciò che venga reso almeno in parte malleabile può poi essere riplasmato. Inoltre la penetrazione entro le dimensioni più profonde del nostro essere non può che essere graduale ed in un certo senso preparata. Quante volte, al contrario, ci sentiamo estraniati durante una conferenza, o anche durante una celebrazione liturgica. Veniamo infatti violentemente gettati entro un linguaggio complesso o un evento così particolare senza alcuna preparazione, per cui il più delle volte dobbiamo compiere un paradossale atto interno di scissione da noi stessi, per continuare a seguire un discorso finalizzato magari alla nostra più integrale unificazione.

Tutto ciò dipende da un secolare processo di intellettualizzazione della dimensione spirituale, ed in genere del sapere e di tutte le forme della sua trasmissione, in base alla quale si ritiene che qualunque cosa possa essere subito appresa se ne comprendiamo il concetto. Questo processo di astrazione mentale e di disincarnazione della conoscenza è compiuto ormai, è cioè del tutto esaurito, e non possiede più alcun radicamento nel cuore vivente dell’uomo, né alcuna possibilità di ulteriore sviluppo; eppure facciamo ancora molta fatica a liberarci dalle sue illusioni, e dalle sue infantili presunzioni. In realtà, affinché le parole possano agire veramente su chi ci ascolta, senza scivolare via come una sterile pioggia su un’anima impermeabile, la sostanza indurita della sua anima dev’essere prima lavorata almeno un po’, ammollata, in un certo senso dev’essere prima liquidata.
La liquidazione della nostra mente egoica, e delle sue strutture psichiche irrigidite, è in realtà l’atto prioritario e continuo di ogni processo trasformativo, in quanto pone fine ogni volta all’apparente perentorietà di questo mondo.

  • Chiudiamo adesso gli occhi. Dolcemente. Docilmente. Possiamo sempre utilizzare per le nostre meditazioni una musica rasserenante, che non ci distragga però, ma favorisca e anzi intensifichi la nostra quiete interiore. Curiamo lo spazio ed il tempo del nostro lavoro. Custodiamolo con cura e amorevolezza. Assumiamo dunque una posizione seduta comoda e rilassata.. Non dobbiamo dimostrare niente a nessuno. Cerchiamo solo di poggiare bene, preferibilmente sul bordo anteriore della nostra sedia, in modo che il bacino costituisca una base solida che permetta al nostro tronco di aprirsi e al nostro torace di respirare in libertà. Ma tutto ciò senza rigidezze e senza prodezze. Lasciamo che sia il nostro respiro naturale a plasmare una posizione adeguata, lasciamoci plasmare con flessibilità, adattiamoci ai segnali che ci invierà il nostro corpo. Abituiamoci ad ascoltarli. E concediamoci per tre o quattro minuti di essere semplicemente qui dove ci troviamo, in questo momento, senza fretta, senza attese, senza aver nulla da fare se non lasciarci respirare, così come viene, e rilassarci.
  • Godiamo del venire e dell’andare del nostro respiro. Godiamo della sua spontaneità. Il respiro, come la vita, viene da solo, non dobbiamo produrlo noi, né forzarlo, né modificarlo in base alle nostre pretese. Gustiamo questo fluire spontaneo della vita dentro di noi, e dilatiamo così piano piano lo spazio interiore, sempre più fluido, morbido, pacificato, prepariamo il terreno su cui potranno prodursi tutte le miracolose trasformazioni del nostro essere.
  • (Se lavoriamo in coppia o in gruppo proviamo a darci le mani. Sentiamo il nostro essere noi stessi e al contempo il nostro essere in relazione con gli altri. Nessuno di noi è speciale o diverso. Proviamo a dircelo : io non sono diverso dagli altri ; ognuno di noi è un viandante in cerca della verità e della pace. Noi siamo qui per aiutarci, e la circolarità della relazione dà energia e forza al nostro impegno.)
  • Incominciamo adesso ad osservare, nel clima più pacificato della nostra mente, tutti i moti interiori che insorgeranno. Lasciamoli tranquillamente emergere, senza giudicarli. Permettiamoci di sentire quello che sentiamo, senza censurarlo subito. Può essere utile, almeno all’inizio, dirci interiormente in modo esplicito: adesso sto pensando questo, adesso sto sentendo, percependo etc. questa determinata cosa, e la lascio andare.
  • Emergeranno forse dubbi, fastidi, immagini di persone, paure, critiche o altro. Qualsiasi cosa venga fuori, noi la accogliamo con simpatia, senza però lasciarcene trascinare. Osserviamo, sorridiamo, accogliamo, ma poi lasciamo andare.
  • Ora possiamo provare a scendere ancora più in profondità, e ci aiuteremo sorridendo interiormente ad ogni inspiro, e abbandonandoci dolcemente ad ogni espiro. Il ritmo diverrà a poco a poco sempre più quieto e costante : sorrido inspirando/ mi abbandono espirando. Quando emergeranno in noi altri pensieri o emozioni, distrazioni comunque di qualsiasi tipo, noi proseguiremo nell’esercizio di prima, sorridendo però, e cioè accogliendo con simpatia il disturbo, riconoscendolo bene, e poi abbandonandolo. Impariamo così a riconoscere ciò che si anima dentro di noi, ma a non identificarci subito con esso, a non afferrarci ad ogni oggetto interiore, a non trattenere niente. Questo esercizio approfondirà la fluidificazione della sostanza della nostra anima. Sperimenteremo infatti come possano dissolversi facilmente i nostri pensieri, se impariamo a non donare loro la forza della nostra identificazione, a non farli cioè subito nostri. Sentiremo così che dentro di noi tutto può scorrere più dolcemente se io decido di non afferrarmi a niente. E impareremo a gustare il senso di profonda libertà e al contempo di pace che questo lasciar fluire espande dentro di noi.
  • A queste nuove profondità proviamo a percepire l’onda emotiva della vita che ci attraversa proprio ora. Sentiamola nel suo complesso come una sorta di corrente che trascorre dentro di noi. Essa è probabilmente ancora indistinta, raccoglie molte emozioni magari contraddittorie. Non fissiamola in un sentimento preciso, non diamole alcun nome, non tratteniamola come se fosse qualcosa di solo nostro. Lasciamo invece che questa onda emotiva, questo torrente misterioso fluisca attraverso di noi : inspirando ricevo l’acqua della vita ed espirando la cedo, la lascio andare, e scorrere (se lavoro con altri questo ricevere e poi cedere all’altro può acquistare un senso ancora più concreto attraverso il contatto delle mani).
  • L’onda della vita fluisce attraverso di noi, adesso, e io sono presente e sperimento in questo essere presente un intimo sollievo: sorrido/mi abbandono: questo è un momento meraviglioso.
  • Osserviamo adesso le nostre eventuali resistenze : vogliamo forse controllare troppo la situazione? Insorgono in noi sentimenti di superiorità o dubbi o pensieri scettici o critici o denigratori? In che modo cioè in questo momento stiamo tentando di separarci dall’onda presente della vita? Abbiamo poi forse difficoltà a riceverla ? o abbiamo più paura di cederla ? e di che cosa abbiamo veramente paura quando dobbiamo ricevere e quando dobbiamo lasciare andare? Riusciamo ad individuare una qualche specifica paura che ci impedisca adesso di abbandonarci più pienamente al gioco del dare e del ricevere? Avvertiamo forse contrazioni nel corpo? e dove sono eventualmente localizzate? Osserviamo ogni cosa con calma e con serenità, e poi lasciamo andare. Interroghiamoci con estrema dolcezza, e ogni resistenza o paura che riconosceremo accogliamola sempre con il nostro sorriso interiore, e impariamo a cedere ancora un po’ proprio lì dove resistiamo di più.
  • Più ci rilasceremo in questo modo, rinunciando a trattenere e a controllare il gioco, e più si dilaterà in noi uno spazio fluido di maggiore quiete, in cui anche le nostre paure o le nostre negatività potranno sciogliersi più facilmente.
  • Continuiamo a tornare sempre daccapo e lungo tutto il nostro esercizio alla consapevolezza del ritmo fisico del nostro respiro, associandovi l’attitudine interiore del sorrido/ mi abbandono, finché l’onda di tutte le energie della vita, sempre più fluidificata, non avrà incominciato a donarci un senso crescente di pacificazione e di gioia. Allora potremo sentire di essere entrati un po’ di più nello spazio della nostra trasformazione e quindi di esserci aperti a quelle dimensioni in cui per davvero si sciolgono gli antichi icebergs del nostro dolore e scorrono le acque della vita nuova.

Marco Guzzi

(http://www.darsipace.it/lavoro-dei-gruppi/corso-intensivo-luglio-2010-campello-sul-clitunno-pg/prima-meditazione/)

“Introduzione alle meditazioni” di Marco Guzzi

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Oggi più che mai abbiamo bisogno di respiro sia nella nostra vita quotidiana che nei nostri itinerari di autoconoscimento e di trasformazione. E il respiro ci può venire solo da una mente pacificata, una mente più integra cioè, meno frammentata nelle varie compulsioni del nostro ego. Solo una mente quieta e silenziosa diviene capace di penetrare nelle zone conflittuali del nostro essere, di riconoscerle innanzitutto, e quindi poi di sanarle. Ecco perché qualsiasi cammino psicoterapeutico profondo non può non integrarsi prima o poi con l’itinerario spirituale di liberazione. Anzi è solo il rafforzamento del contatto spirituale con gli stati della nostra unificazione interiore, e cioè con la sorgente sempre viva della nostra rigenerazione, che ci consente di portare luce negli strati sempre più radicali della nostra scissione paranoide, e di disattivarne i meccanismi distruttivi. Così come il progressivo riconoscimento e scioglimento dei nostri più arcaici nodi emotivi, ci libera per stati unitivi sempre più integrali e profondi, in una circolarità virtuosa che possiamo chiamare propriamente la nostra storia della salvezza.

Detto in sintesi: la preghiera e la meditazione danno luce e orientamento alla ricerca psicologica, così come l’autoconoscimento psicologico delle nostre distorsioni profonde purifica, dà corpo e concretezza alla nostra vita spirituale, la aiuta cioè ad incarnarsi.

Molte persone hanno già sperimentato varie forme o metodi di meditazione. Altre forse ne hanno solo sentito parlare. Non ha alcuna importanza. Noi faremo piccoli passi senza alcuna pretesa. Siamo principianti e restiamo tali. Ogni mezzo resta perciò soltanto uno strumento funzionale al passaggio che stiamo compiendo. Per quanto mi riguarda io incominciai i miei primi tentativi di meditazione silenziosa leggendo Sadhana – Un cammino verso Dio del gesuita indiano Anthony De Mello. Era il 1981 e il libro me lo passò Paola, che poi diventò mia moglie. Glielo aveva dato il suo parroco Don Ottavio, che poi, quattro anni dopo, ci sposò. I primi esercizi di quel libro, sulle sensazioni corporee e sul respiro, mi furono sufficienti per conoscere una pacificazione mentale sorprendente che poi ho tentato di approfondire nei 25 anni successivi. Quegli esercizi possono essere un’ottima introduzione al silenzio interiore. Comunque in queste meditazioni darò anch’io piccole indicazioni di massima, tenendo sempre presente però questa sana osservazione di un grande mistico del XIV secolo: “Dio non ha vincolato la salvezza umana a nessun metodo particolare.” (Meister Eckhardt)

Ciò che conta è ritrovare ogni giorno, e poi quanto più spesso è possibile durante la giornata, gli stati mentali della nostra pace, scoprire che essi sono la nostra più intima verità, e sono sempre presenti in noi, sempre pronti a donarci la loro pienezza, se solo ci rivolgiamo nella loro direzione. Mai come in questo nostro tempo, così proiettato nei ritmi furibondi della superficie, l’umanità ha avuto bisogno di ancorarsi alla quiete e alla lentezza salutare delle proprie profondità luminose. Solo ricentrati nella pace del nostro vero cuore potremo poi gestire anche la velocità telematica senza farcene travolgere.

Marco Guzzi

Andrea Parodi

Al minuto 4:35, Andrea Parodi provato dalla malattia, ma vitale come sempre dice: “Arrivderci, magari con un prossimo figlio”..
Dalla vita per la vita, guardando oltre, lasciandoci con un desiderio di senso e con una speranza di felicità vera.
Simone Moscato