Sono sempre più persuaso di come il dibattito interno nel mondo della didattica vocale sia fortemente condizionato da un fraintendimento di base, cioè il credere che la tecnica, come strumento di conoscenza e libertà espressiva, possa essere appropriata o inefficace in relazione ad un unico e condiviso fine, e quindi che la bontà della stessa non sia la misura del raggiungimento di un risultato personale, ma il comune convergere verso specifici elementi estetici.
La realtà, quantomeno per il rock, il pop e in parte per il jazz a mio avviso è ben altra (lascio fuori ad esempio il “belcanto”, per il quale le caratteristiche tecniche definiscono in modo netto l’adesione o meno ad un preciso “sentire artistico”), e il suddetto fraintendimento è figlio di un male tipico della nostra epoca e del nostro bel paese, costruire sull’idea invece che sulla realtà concreta.
Quando si canta poco, quando si compone poco…
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