«È probabile che alcuni usino la parola “Dio” come “tappabuchi” (credenti o meno, d’altronde). Non la capiscono affatto, allora. Non ne sentono, per così dire, la musica. Perché il significante “Dio” non discende da un desiderio di soluzione finale: viene dal riconoscimento di un’assenza irrecuperabile. Non sorge tanto come risposta quanto come chiamata. Dà il nome all’evidenza di ciò che mi sfugge, all’esigenza di ciò che mi supera».
Fabrice Hadjadj (Come parlare di Dio oggi? Anti-manuale di evangelizzazione)
