“In my beginning is my end / in my end is my beginning….”
Nel canto la mente analitico-razionale tende sempre a trasformare un processo fluido e dinamico in un assemblaggio statico di singoli ‘posizioni’ e ‘oggetti’. In questo modo le sfugge l’essenza del fenomeno, sostituito con un surrogato, che è il risultato di una sintonizzazione sbagliata della coscienza.
In effetti nell’articolazione parlata e nella respirazione, che sono la sostanza del canto, succede semplicemente quello che succede in un altro processo dinamico, che è il camminare. L’assoluta perfezione ed economia funzionale del camminare si realizza solo se noi ci inseriamo nel suo movimento naturale, che è di pura armonia ed essenzialità, NON se pensiamo di ricrearlo sommando staticamente singole ‘posizioni’ o ‘figure’ immaginarie. In altre parole il piede che si solleva per fare un passo non viene sollevato attivamente e analiticamente e poi abbassato con un altro atto volontario e analitico, ma è come se nel momento in cui si solleva, fosse già ‘proiettato’ nel futuro, gravitando già sul secondo momento dinamico, che è quello dell’appoggiarlo per terra, e in questo modo si realizza la sua naturalezza, che non corrisponde altro che a una sensazione di perfezione, facilità e comodità, fuse insieme. Frasi della didattica vocale tradizionale come ‘cantare sul fiato’, ‘cantare sull’atto dell’inspirazione’ si riferiscono appunto a questa realtà che è dinamica e non statica, sono inviti a sfruttare la forza d’inerzia contenuta in ogni movimento naturale dell’energia (sia questo la respirazione o l’articolazione), senza bloccarla in seguito a qualche intervento ‘tecnico’.
In questo senso la frase di Eliot sopra citata, “nel mio inizio è la mia fine, nella mia fine è il mio inizio “, non è banale retorica poetica, ma purissima (e profondissima) verità.
Antonio Juvarra